Arriva TEA, l’app pensata per aiutare le donne a difendersi nel dating

Ricordate? Il gruppo FB nel quale le donne potevano condividere i profili dei partner con cui uscivano per scoprire se qualcuno faceva il doppio gioco? Ebbene oggi sappiamo che quello era solo l’inizio di un percorso che se ha sicuramente dei lati positivi, ne ha anche di pericolosi. Ed è difficile dire quali siano prevalenti. Ma andiamo con ordine.

È nata negli USA e per ora non si è ancora allargata in altri paesi, supponiamo in attesa di verificare eventuali limiti di legge, si chiama TEA ed è un’app di una semplicità disarmante: le donne possono inserire profili, foto, dati delle persone, in prevalenza ovviamente uomini, con cui hanno avuto brutte esperienze e mettere così in guardia altre donne.

Una bella idea, direte voi. Certo, tutto quello che può servire a mettere in sicurezza le donne è benvenuto, ma nello stesso tempo è evidente che esistono dei grandissimi problemi di privacy e anche di un uso non corretto dell’app.

Perché, nel caso di TEA, ci sono punti decisamente poco chiari. Per esempio, cosa succede se una donna decide di vendicarsi di un partner segnalandolo nell’app? Esistono dei canali di verifica delle segnalazioni fatte nell’app?

TEA sostiene di sì. L’app mette il massimo impegno nell’impedire abusi. Ma poi non è chiaro in che modo.

Ottimo per i canali per seguire in modo veloce eventuali segnalazioni fatte da uomini che si trovano a torto nella lista. Cioè che non hanno commesso reati o anche solo avuto comportamenti scorretti e si sono ritrovati nell’app. Ma questo canale presuppone che la persona sappia di essere nell’app. Cosa difficile, visto che sembra che si possano iscrivere solo donne.

Intanto i casi di uomini che si sono trovati inseriti loro malgrado si moltiplicano. Si parla molto, per esempio, di una recensione dell’app che racconta di come un amico sia andato in depressione e abbia smesso di cercare incontri dopo essere stato rifiutato a raffica solo perché il suo nome era stato messo in black list.

D’altra parte Sean Cock, l’ingegnere che ha creato TEA, è convinto di aver creato qualcosa di utile e tira avanti per la sua strada.

Cock racconta che l’idea di TEA gli è venuta assistendo ai troppi incontri tossici che la madre ha avuto nella sua vita.

Noi ribadiamo, sicuramente si tratta di un’app importante, soprattutto quando i dati delle violenze subite dalle donne sono drammatici e in crescita.

Negli USA un terzo delle donne ha subito violenze o è stata insidiata da un partner intimo, mentre solo una su due denuncia le violenze subite.

I dati europei sono sostanzialmente allineati su quelli USA, salvo che le violenze in famiglia sono esperienza di una donna su cinque, mentre sempre un terzo ha subito violenze nella propria vita, calcolando anche l’ambiente esterno a quello familiare.

In Italia, poi, la situazione è ancora peggiore, perché se i numeri delle violenze subite sono allineati a quelli europei e americani, solo il 13% delle donne che hanno subito violenza si rivolge alla polizia, mostrando una sostanziale sfiducia rispetto alla possibilità di avere soddisfazione per vie legali.

Tuttavia anche se i dati, ripeto, sono drammatici, il rischio che TEA diventi uno strumento utilizzato soprattutto per vendicarsi di un amore chiuso è decisamente altissimo. E la difesa della privacy deve sempre avere il sopravvento su tutto. Senza cedere di un millimetro nella difesa della libertà delle donne e in tutte le misure atte a colpire gli autori dei reati, bisogna però trovare strade più rispettose dei diritti di chi con questi atti criminali non c’entra niente.

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