Il dating fa male alla privacy

Che nel settore delle app di dating il rispetto di privacy e dei dati degli utenti non fosse un valore centrale lo si sapeva da tempo. Anzi, probabilmente per le app vendere a terze parti le informazioni sugli utenti è, soprattutto in questo momento di crisi del settore, una delle principali fonti di revenues.

Ma che la situazione fosse così drammatica probabilmente non ci pensava nessuno.

A dare la sveglia ha provveduto Mozilla, con una ricerca che rischia di essere devastante per le app di dating: l’80% delle app vende i dati degli utenti a terze parti. E la cosa veramente grave è che a non essere in regola non sono le piccole app ma soprattutto le grandi, visto che in testa, per infrazioni, ci sarebbero Tinder, ed è una novità, e Grindr, e non è una novità (Ce ne siamo occupati diverse volte proprio in queste ultime due settimane).

Due gli aspetti sotto osservazione. La raccolta di dati fatta dalle app e l’uso che ne fanno le IA ormai sempre più coinvolte nella costruzione degli algoritmi per proporre i match.

Sul piano della raccolta delle informazioni non è difficile immaginare che cosa possono raccogliere su di noi le varie app. Pensate a quante cose condividiamo sui nostri gusti e sulle nostre abitudini.

Uno strumento di raccolta importantissimo è la condivisione della posizione, presente in tutte le app e accettata dalla maggior parte degli utenti, visto che è grazie a questa che si possono costruire match nelle vicinanze.

Ebbene come abbiamo detto l’80% delle app non ha nessun problema a vendere queste informazioni a terze parti. E si va dai casi, in fondo, meno gravi, quando la condivisione viene fatta con strutture che lavorano per progetti socialmente utili, a quelli gravissimi, e qui torna prepotentemente in gioco Grindr, in cui a essere condivise sono informazioni sulla nostra situazione di salute o economica, informazioni che vengono utilizzate non per macronumeri ma indirizzare pubblicità proprio alla persona specifica.

Il GDPR e gli ultimi mesi, tutti pieni di importante misure a protezione della privacy degli utenti e sull’uso dei dati da parte dei gatekeeper, cioè società che hanno grandi numeri di utenti, hanno avuto effetto. Le app, semplicemente se ne sono fregate.

Poi c’è il secondo aspetto, quello dell’IA. Ormai appare chiaro che le IA usate dalle app di dating per costruire i match usano le informazioni che ricevono per nutrirsi e per imparare. È un uso impersonale, in fondo, ma è sempre che qualcuno guadagna sulla nostra pelle, privacy in questo caso.

Ma si può provare a difendersi? Sì e no. Sì e no perché molto spesso queste condivisioni di dati avvengono già contro la legge, così come contro la legge è la raccolta delle informazioni stesse.

Quello che si può provare a fare è utilizzare degli strumenti per avere quanto meno, un giorno, in mano un’arma importante per difendersi e chiedere il risarcimento dei danni.

La prima cosa da fare, naturalmente, è leggere attentamente i Termini e condizioni e gli articoli che riguardano la difesa della privacy, tutti presenti nelle varie piattaforme. Poi si può rifiutare tutti i cookie, laddove è possibile, fregandosene se ci viene detto che così l’app avrà problemi a costruire match efficaci.

Ultima azione da compiere, questa ancora più distruttiva per l’esperienza dell’app, è non accettare di condividere la posizione.

Ma senza tutte queste funzioni, che cosa rimane del dating? Niente, naturalmente. Allora meglio cercare e fidarsi di app che a vendere i dati, non ci pensano proprio. Qualcuna ne esiste, altre, come ReadMeet, arriveranno presto.

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