Avete presente la cronologia del vostro browser? Sì, esattamente quella cosa che la maggior parte di noi periodicamente ripulisce cancellando le ricerche fatte e i siti visitati, quella cosa che tutti noi tremiamo al solo pensiero che qualcuno possa vederla (soprattutto le persone più vicine)? Tremiamo perché nulla rivela meglio il nostro vero carattere, profondamente, come la cronologia del nostro browser.
La cronologia rivela le nostre paure, i nostri desideri, anche i nostri interessi, sono soprattutto le prime due a dover restare segreti, invisibili.
Invece Dries Depoorter, artista e tecnologo belga, ha pensato che se gli utenti, in fuga, delle app di dating pretendono un maggior livello di verità nei match, vogliono incontrare persone reali e non le immagini che ciascuno di noi proietta, per accontentare questa richiesta non c’era miglior modo che utilizzare il momento in cui tutti sono assolutamente veri: quando effettuano ricerche sul browser.
Detto fatto, in poco tempo è nata Browser Dating, l’ultima arrivata fra le app di dating ma sicuramente la più innovativa in assoluto.
Il funzionamento è estremamente semplice. Gli utenti, utilizzando una apposita estensione già disponibile per Chrome e Firefox, selezionano 5.000 ricerche fatte nel loro browser e le condividono con l’app.
Nell’app le ricerche vengono processate, in modo totalmente anonimo, assicura Depoorter, da un’IA che le utilizza per costruire un profilo e dei match adatti a quel profilo.
A detta di Depoorter l’app, al momento ancora ai primi stadi di evoluzione, ha già raggiunto oltre 1.000 iscritti.
È disponibile in modalità free, con un massimo di 5 match al giorno, e in versione ad abbonamento, con tutte le funzioni sbloccate in modo illimitato.
Detta così, sembrerebbe veramente una innovazione definitiva. Ma basta cominciare a ragionarci un pochino e si vede come i problemi emergano a raffica.
Depoorter assicura che i dati raccolti vengono processati in modo anonimo, l’abbiamo già detto, e soprattutto che Browser Dating non vende e non venderà mai i dati raccolti. Ma sarà vero?
Non ce ne voglia Depoorter, ma oggi come oggi, queste assicurazioni le abbiamo sentite migliaia di volte, salvo poi, in tanti, troppi casi, che erano annunci falsi. I dati venivano venduti, e anche a prezzo altissimo.
Inoltre, anche ammettendo la buona fede di Depoorter, condividere i propri dati, significa comunque metterli in circolo. Una possibilità in più per gli hacker di metterci le mani sopra, con buona pace delle migliori intenzioni e pratiche di sicurezza utilizzate.
E difatti proprio sul tema della sicurezza si sono aperti i dibattiti più intensi fra estimatori e denigratori dell’app.
Ma c’è un ultimo aspetto che convince poco, almeno noi di ReadMeet: che senso ha dire che il sistema utilizzato per costruire i match garantisce un altissimo grado di veridicità dei profili utenti quando lasci all’utente la possibilità di scegliere quali ricerche condividere? Certo, mettere insieme 5.000 ricerche è una bella fatica, però anche solo cancellare tutte quelle che ci imbarazzano di più non è un bel modo per falsare ancora una volta il proprio profilo? Per dare ancora una volta una immagine di noi diversa dalla realtà? E in fondo, che ci vuole, a farlo? Niente. Qualche decina di click e voilà, anche questa volta il profilo falso è servito.